Colle le Cese

Boschi incantati e panorami insoliti. Un Terminillo strepitoso di fronte come mai l'ho visto.
Una manciata di basse,intricate e boscose montagne, fanno parte dei Reatini, alle spalle del Giano degradano fino alla valle dell'Aterno. Poco frequentate dagli escursionisti nonostante le basse elevazioni consentono viste strepitose e soprattutto da angolazioni inconsuete. Davvero una bella e inaspettata sorpresa.


Una bella escursione nelle montagne di mezzo, mi piace chiamarle così, mai citate, mai pubblicizzate, vicine a tutto ma pochissimo frequentate e quindi per questo lontane lo stesso; la cima più alta non raggiunge i 1600m. e poche sono le vette libere e spoglie dai boschi, intricata zona di basse e montagne quindi, dedalo intricato di mulattiere e carrarecce, impero incontrastato di boscaioli, fungaioli e oggi di bikers, un vero e proprio parco divertimenti per questi ultimi. Sto parlando delle montagne che nonostante facciano parte dei Reatini non vengono riportate nemmeno in tutte le carte, la Salaria le divide dai Reatini, salgono e scendono alle spalle del monte Giano e del monte Calvo e degradano lentamente verso l’alta valle dell’Aterno fino a sconfinare verso il lago di Campotosto, per capirci sono le montagne sopra Borbona. Non ci ero mai stato e Tonino, che le conosce benissimo, oggi mi ci ha accompagnato, visto che c’era si è inventato un bel giro per salire su una delle pochissime cime che non aveva toccato Colle le Cese, due decine di metri sopra i 1500m. Non sapevo cosa aspettarmi da questa escursione a dire il vero, quello che ne è uscito è sicuramente moltissimo di più della più positiva speranza. Salaria fino a Posta, si devia per la SR471 per Borbona e dopo poche centinaia di metri al primo bivio si devia sulla destra seguendo le indicazioni per Villa Camponeschi e Vallemare; la strada diventa piccola ma rimane asfaltata, si inerpica intorno a dorsali boscose e velocemente si “infratta” in ambiente decisamente isolato. Quando alzandoci sbuchiamo dalla nebbia che ci portiamo dietro da quando ci siamo infilati nella piana di Posta (costante invernale) il versante Est del Terminillo che ci si para davanti è come un cazzotto che blocca il respiro, la sorpresa che non ti aspetti; un cuscino di nuvole ci scivola morbido pochi metri sotto e raggiunge i boschi sul versante opposto dove si alzano, il Ritornello e tutti i profili fino all’Elefante e al Terminillo, il vallone di Capo Scura è incassato, sinuoso e possente come non puoi intuire quando lo percorri; i raggi del sole appena spuntati regalano tondi caldi, formano ombre lunghe che esaltano la grande montagna che avevamo davanti. I boschi arrugginiti contrastano con il bianco candido di un copioso quanto insolito innevamento che ricopre i versanti in alto, insolito in questo periodo e forse insolito in assoluto per questa montagna. Luci taglienti, ombre lunghe, pareti ruvide e articolate, ripidissime, tutte le linee delle tante creste sembrano confluire dentro i canaloni del Terminillo, ben scanditi dalle ombre del momento, una montagna enorme, vista da qui una montagna importante come raramente siamo abituati a pensarla. Inevitabile fermarsi a bordo strada per qualche foto e per lasciarsi sbalordire da questa visione. Non avevamo ancora iniziato e già il biglietto staccato era stato ripagato. La strada sale contorta e prima di ridiscendere verso Borbona tocca Vallemare, un grumo di case tra praterie e boscaglie; parcheggiamo nella piazzetta del paese ed entriamo nel borgo, guardando la fontanella a sinistra; al primo incrocio di strade una palina molto artigianale e con informazioni essenziali indica di svoltare a destra in direzione monte Giano, dieci metri e siamo già fuori dal paese a costeggiare un importante muretto a secco. La traccia, sempre evidente, prima in piano inizia poi a salire con pendenza costante, intorno orti, ancora muretti a secco fino ad inoltrarsi nella boscaglia costeggiando un profondo fosso; dopo quasi un chilometro di sentiero a quota 1206m. incontriamo un grosso faggio (+40 min.), lo zoccolo delle radici aggetta sporgente sul sentiero formando un profondo tetto, sotto incastrato nel muschio folto una immagine in gesso delle madonna, da qui il toponomastico sulla carta della Madonnella; nemmeno mezzo chilometro ancora e sul sentiero, insieme alla prima neve incontriamo fonte San Marco (+20 min.), intorno ormai è boscaglia fitta anche se bassa, orlata di neve dei giorni precedenti. Dopo poche centinaia di metri ancora la nevicata lascia segni più importanti su tutti gli alberi e a terra ci sono quindici centimetri di neve dura, ci immettiamo su una ampia sterrata che in ambiente fiabesco introduce alla bella valletta della Prata del Cagno (+20 min.), il bosco si allarga e lascia spazio alla piccola piana, il bosco si illumina, una 4x4 ha lasciato a terra profonde tracce nella neve candida ma non fanno perdere il fascino di questo luogo da cui però è proibito ogni altro orizzonte che non sia bosco imbiancato. Ci teniamo sulla sterrata che si stacca a sinistra abbandonando quella che entra nella piana e aggira la piccola elevazione del monte Cagno alle nostre spalle. Per un breve tratto seguiamo la strada ma la traccia sul GPS consiglia Tonino di uscirne e tagliando il bosco in salita di raggiungere una più ampia strada che scorre 40 metri più in alto e quasi parallela a quella dove eravamo. Un dedalo di sentieri, sterrate e vere strade, come sempre quando si è a traino si è meno concentrati e in quel frangente iniziavo a non capirci più nulla. Da lì in avanti si è seguita l’ampia strada, aggirando in pratica Colle dei Merchi, abbiamo superato alberi carichi di neve che ripiegavano le fronde sulla strada e che attribuivano ancora più magia al luogo, ampie radure con altri incroci di strade che manco risultavano sulla carta ma che non traevano in inganno Tonino. Improvvise aperture verso Est offrivano prospettive nuove su una dorsale che per qualche attimo non ho saputo riconoscere, l’ho potuto fare solo ricostruendo una cartina nella mia mente, posizionando il Terminillo e il Giano, non conoscevo quel profilo ma intuivo trattarsi del monte Calvo, da qui una lunga dorsale ondulata affatto banale; continuando ad aggirare il colle dei Merchi su una strada sinuosa e ormai fuori dal bosco l’orizzonte si apre sempre di più verso Sud Est spalancando nuove linee e nuovi profili, ancora una volta nuovi ma non sconosciuti: il Gran Sasso. Tutta la catena del Gran Sasso con i suoi profili inconfondibili ma visti da una angolazione insolita e quindi per questo entusiasmante e strana e diversa. Il San Franco e il Corvo ad iniziare la lunga dorsale che scivola via senza dettagli a causa della nostra angolazione, le vette del Corno Grande che svettano su tutte le altre. Giuro non l’avevo mai vista da una prospettiva del genere, un po’ come vederli dal lago di Campotosto ma molto più lontani e spostati verso Ovest. Davvero bello, e dopo il Terminillo di questa mattina è la seconda chicca della giornata. Sfioriamo fonte del Lago (+1,10 ore), completamente gelata, quando ormai abbiamo di fronte la nostra meta, la dorsale del Colle delle Cese; alla base sostiamo al sole per mangiare qualcosa, in corrispondenza di un incrocio e di un paio di paline che sommariamente indicano direzioni diverse e anche per luoghi che non ritrovo sulla carta. La salita al Colle le Cese è un lungo traverso su una traccia appena accennata, tagliamo in salita quella che sulla carta viene chiamata Costa Rosata e dopo un lungo traverso, con poche ripide svolte siamo in groppa alla dorsale da dove si spalanca un panorama imperioso sul Terminillo, più che mai montagna importante, e sul monte Vettore fino alla lunga sfilata delle vette della Laga. Da fermarsi per ore, sopra un mare di basse montagne boscose si alzavano le cime del Terminillo, come la mattina un profilo che ci entusiasmava perché davvero imponente e perché inusuale; a Nord il Pozzoni anticipava il monte Vettore e continuando la piramide del Sevo e poi la Laga tutta, era la terza sorpresa della giornata che continuava ad impreziosire questa giornata. La vetta del Colle le Cese era un mezzo chilometro più a Sud Est, poco più alta del punto dove eravamo, una galoppata in cresta, qualche cumulo di neve facile da superare e qualche roccetta, col monte Calvo sempre di fronte e l’orizzonte che si allargava verso Sud ma che ancora giocava a nascondere i profili importanti dietro la tonda cupola della cima. Entusiasmante il percorso di cresta, per il bel sole che scaldava, per gli orizzonti magnifici tutto intorno, per quella ventata di montagne nuove e di nuove prospettive che ci stavano “cadendo” addosso. La vetta del Colle le Cese non si riesce e a definire tanto è ampia, quasi un pianoro, poco oltre l’orizzonte si apre sulla lunga dorsale del Gran Sasso fino alla Majella, si intuisce l’ampia valle dell’Aterno e la piana dell’Aquila, si riconoscono le montagne del Velino, meno quelle del parco troppo lontane e confuse per essere riconosciute; e chi si aspettava un panorama così ampio dai 1526 metri di questa piccola montagna! Non rimaneva che scendere e chiudere l’anello, in faccia al sole in pochi metri ci abbassiamo verso il rifugio della forestale e gli orizzonti si defilano nascosti dalle leggere dorsali che abbiamo intorno. Il rifugio giace in pessimo stato, inutilizzabile, quando lo raggiungiamo deviamo ad angolo retto alla nostra sinistra per infilarci nella poco marcata valle che ci si apre davanti e seguendola per un quarto d’ora circa, all’interno di un bosco rado, raggiungiamo una sterrata che prendiamo a sinistra per finire di aggirare Colle Le Cese. Ombrosa, fredda e in leggera salita per un paio di chilometri fino a raggiungere il valico alla base di Colle le Cese (+55 min.), sotto e davanti a noi a circa mezzo chilometro l’incrocio dove mangiammo e iniziammo a salire; non valeva la pena raggiungerlo, avremmo allungato e saremmo finiti presto di nuovo in ombra; traversiamo quindi sulla destra tagliando il versante innevato verso il lontano ma già evidente comprensorio turistico della Crociata che sorge poco sopra Vallemare. Con le giuste linee e le giuste pendenze raggiungiamo la sterrata, attraversiamo il fosso che gli scorre accanto intuendo il sentiero sull’altro versante, lo seguiamo in discesa per un paio di chilometri su sentieri nel bosco e poi ancora pezzi di sterrate per prendere definitivamente verso Vallemare e di nuovo al sole. Entriamo in paese (+1,05 ore) che impera il silenzio, due le strade prima di raggiungere la piazza sempre silenziosa e vuota. Momenti entusiasmanti in mezzo a piccole montagne, orizzonti inusuali, ci portiamo a casa immagini e fotografie delle montagne che conoscevamo come non avevamo mai potuto ammirare, nata per caso quella di oggi è stata una escursione magnifica, una autentica sorpresa; la fortuna ha voluto farci incontrare boschi imbiancati ma la posizione di questa montagnetta ci ha regalato degli scorci e delle immagini difficili da dimenticare!